Sport vs tradizione

Come può il design portare innovazione nell’ambito dello sport?

Giacomo Cesana, Direttore creativo

Chiudete gli occhi e pensate a un brand sportivo. Se avete pensato a Nike o Adidas siete allineati con la maggioranza, e non è un caso. L’universo sportivo racchiude in sé i valori di dinamismo, performance, risultati, miglioramento. Tutti concetti che guardano in avanti, verso il futuro.

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Nessuno probabilmente assocerebbe allo sport i concetti di storicità, tradizione, passato glorioso. Ma se guardiamo al mondo del calcio, lo sport europeo per eccellenza, dove troviamo squadre che sono dei brand globali ben oltre il business delle partite giocate, e se ci concentriamo sulla identità delle squadre, scopriamo un universo molto omogeneo di marchi dalla forma di scudo araldico ricchissimi di elementi storici.

Un mondo in cui il rinnovamento e il miglioramento, perlomeno dal punto di vista dell’identità visiva, avvengono in maniera molto cauta o addirittura vengono mal visti come è successo per l’Everton in Inghilterra.

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Diamo per vera la nostra tesi, che vede un disallineamento di valori tra il marchio di moltissime squadre di calcio europee e il mondo dello sport: cosa può fare il design in un mercato del genere?

Ci sono un paio di esempi che per me vanno guardati per trovare la soluzione. Il primo è il rebranding della Premier League, il secondo quello di Juventus.

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In entrambi i casi le due società hanno operato una evoluzione notevole con il loro passato storico e tradizionale presentandosi ai tifosi, agli spettatori, agli sponsor e agli investitori con una identità capace di guardare al futuro e a nuove sfide. Innanzitutto con un cambio di marchio radicale, che lascia alle spalle gli elementi araldici storici passando a una versione più sintetica e contemporanea, affiancato a delle brand identity molto moderne nell’uso dei colori e degli altri elementi grafici.

Questa mossa è il coronamento di un processo che ha visto la Premier League e la Juventus all’avanguardia nell’offrire una nuova brand experience costituita da programmi di engagement, offerte tematiche (ristoranti, musei, shopping), fino alle playlist su Spotify: insomma dei brand che vanno oltre il calcio e i singoli match, delle esperienze di marca capaci di attrarre anche persone disinteressate al calcio, spostando il focus dal campo di gioco a territori più ampi.

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Senza queste premesse sarebbe difficile giustificare cambiamenti audaci nell’universo calcistico e sarà difficile immaginare un futuro diverso nel panorama dei marchi calcistici, anche se da direttore creativo e grande tifoso, lo auspicherei.

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