Naïf

Nella progettazione le informazioni devono essere chiare, leggibili. Marchi, testo, immagini, hanno il giusto peso e seguono un ordine di lettura. Ma è sempre così?

Stile casual

Una delle regole a cui ci si attiene per la progettazione di un qualsiasi strumento che deve comunicare un messaggio – che si tratti di un manifesto, della confezione di un prodotto, di una rivista – è che le informazioni devono essere chiare, leggibili e devono seguire una gerarchia. E questa regola si applica all’insieme di tutti gli elementi della composizione: marchi, testo, immagini. Si crea un ordine di lettura che parte dall’elemento principale e via via porta fino a quelli secondari. Ma come tutte le regole ci sono le eccezioni: prodotti che si presentano con un aspetto disordinato, in cui gli elementi sembrano essere disposti in maniera casuale e la confusione sembra prevalere sull’ordine. Si potrebbe pensare che un approccio del genere sia possibile sono per prodotti e mercati di nicchia o avanguardia – pensiamo alle birre artigianali o ai brand della moda ultra contemporanei – ma ci sono esempi che possiamo trovare nei supermercati sotto casa.

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Spostandoci nel mondo del retail è notevole il caso della catena inglese di hamburgerie Byron, nata con un approccio all’identità visiva assolutamente casual: ciascuno dei suoi primi 35 locali aveva un logo diverso, ma anche strumenti e materiali di comunicazione completamente differenti. L’unica costante erano il nome e gli hamburger. Nata nel 2007, Byron è cresciuta con questa identità casuale ed è stata venduta nel 2013 per la cifra di 100 milioni di sterline. Niente male per una brand “senza un vero logo”.

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Difetti come punti di forza

Vi è mai capitato di dire a qualcuno: «Non fare caso a come sono vestito, ho indossato la prima cosa che ho trovato»? A me sì, e ho la stessa impressione ogni volta che vedo una bottiglia di Angostura, la cui etichetta è evidentemente della misura sbagliata. Ma questo difetto ne ha fatto l’elemento più memorabile della sua identità.

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Quando spontaneo fa rima con iconico

Ci sono poi tutta una serie di brand la cui identità non è cambiata nel tempo, superando le mode e le generazioni, diventando così fortemente iconica. Il fascino che provo di fronte a brand del genere non è solo dovuto al valore storico della loro espressione visiva, quanto anche al fatto che spesso sono la testimonianza di un approccio genuino e naïf al branding e al marketing. Se qualcuno infatti mi chiedesse cosa ne penso di una etichetta in cui il logotipo è ripetuto due volte, per di più in due forme diverse, in cui le informazioni legali sono sul fronte e si sovrappongono al logotipo e tutta la composizione è poco leggibile, io risponderei che è qualcosa di insensato. Senza accorgermi che mi sta descrivendo l’etichetta dell’acqua S.Pellegrino. E che direi se qualcuno mi dicesse che vuole usare le quattro facce di un astuccio per riprodurre esattamente il prodotto in esso contenuto? Gli direi che sta perdendo un’opportunità, senza pensare che dentro questa stranezza ci può essere invece l’opportunità di diventare iconici, come è successo, nel suo piccolo, per la pasta Balena. E quando penso che sui prodotti iconici di Wrigley’s, l’azienda che ha il 35% del mercato mondiale delle gomme da masticare, il gusto “spearmint” è rappresentato da una lancia (spear significa appunto lancia) e il gusto “doublemint” da una freccia a due punte, non posso che concludere che essere naïf può rivelarsi un grande valore.

Giacomo Cesana
Creative Director

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